L’abolizione della tortura nel Regno di Sardegna.

10 giugno 1814. Vittorio Emanuele I di Savoia firma l’editto che stabilisce l’abolizione della tortura, e dell’infamia tradizionalmente applicata ai parenti dei colpevoli.

19 settembre 1739. […] Il Senato, udita la relazione degli atti, ha pronunziato, e pronunzia doversi condannare, come condanna la sovranominata Clara Fossarella ad essere pubblicamente impiccata per la gola, sino a che l’anima verrà separata dal corpo…

Come ha dimostrato l’illuminista italiano Cesare Beccaria nel suo Trattato dei delitti e delle pene, pubblicato a Livorno nel 1764, la tortura non serve a far confessare i delinquenti più incalliti, ma fa confessare cose false agli innocenti che non reggono il dolore.

Mentre tortura e pena di morte sono aboliti per la prima volta al mondo il 30 novembre 1786 dal codice leopoldino del Granducato di Toscana, la tortura è abolita parzialmente nel Regno di Sardegna solo nel 1794, e più ampiamente dal governo repubblicano piemontese nel 1798.

Ma con la Restaurazione tornano in vigore le norme vigenti prima della caduta dell’Antico Regime, dunque la tortura è di nuovo parzialmente applicabile.

La pena di morte, vigente nel Regno di Sardegna e nel Piemonte annesso alla Francia Napoleonica, è abolita in Italia solo dal codice Zanardelli del 1889, è ripristinata dal fascismo nel 1926, ed è definitivamente abolita dalla Costituzione repubblicana nel 1948.

L’Italia si batte da anni in sede ONU per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. Per quanto riguarda la tortura, Amnesty International denuncia l’uso che ancora se ne fa in molti Paesi, anche in alcuni di quelli che l’hanno formalmente abolita.

Editto di Vittorio Emanuele I, 10 giugno 1814 (ASTo, Materie giuridiche, Editti originali, mazzo 46)

L’editto del 1814

L’editto che stabilisce l’abolizione della tortura nel Regno di Sardegna porta la firma di Vittorio Emanuele I ed è datato 10 giugno 1814.

Il testo precisa che l’abolizione della tortura include l’abolizione dell’infamia tradizionalmente applicata ai parenti dei colpevoli; inoltre, decreta l’indulto, cioè il condono delle pene per molti reati commessi prima del 21 maggio 1814. Tuttavia, dall’indulto è escluso un elenco di delitti atroci e di maggiore “allarme sociale”, come i delitti di lesa maestà, il parricidio, l’uxoricidio, il fratricidio, l’infanticidio, l’assassinio, l’incendio doloso, il furto con violenza ovunque commesso…

Trascrizione

Essendosi riserbati coll’editto nostro del li 21 scaduto maggio di far sentire con un generale indulto li tratti della reale nostra beneficenza alli rei di delitti meno gravi, e di fare alle nostre leggi, e costituzioni quelle variazioni, che avressimo dopo un maturo esame riconosciuto più addattate ai tempi, ed alle circostanze, abbiamo ravvisato meritevole di riforma l’uso della tortura stabilito nel libro 4 delle nostre costituzioni ne’ casi, e contro li rei di delitti più gravi, ed atroci, sia in fatto proprio, che sul capo [a proposito di] dei complici, come mezzo meno addattato per l’accertamento della verità, e reità degl’inquisiti; e ad un tempo poi per dare una maggior efficacia alla dichiarazione già d’ordine nostro fatta dal Reale Senato con suo manifesto 28 giugno 1794 di nostra certa scienza, piena possanza, e regia autorità, avuto il parere del nostro Consiglio, abbiamo determinato, e determiniamo quanto segue.

Primo. Derogando al disposto dal li articoli 20, e 21 tit. Il del tit. 13, ed all’articolo 10 tit. 20 libro 4 delle nostre Reali Costituzioni, dichiariamo d’or in awenire abolita la tortura d’ogni genere, ed in qualunque caso.

Secondo. Nel caso, in cui dalli articoli 20, e 21 tit. Il veniva prescritta la tortura, vogliamo che basti la comminatoria prescritta nell’articolo 21; che persistendo il reo a non voler rispondere, o fingersi pazzo, si avrà il delitto per confessato, e si avrà effettivamente per tale, se per prove, o sufficienti indizi sarà convinto, qualunque siagli la qualità del delitto, fermo rimanendo nel resto il disposto dalli stessi articoli non che dal successivo articolo 22.

Terzo. Qualora dalle nostre costituzioni veniva prescritta la tortura nel capo de’ complici, supplirà alla medesima un interrogatorio da darsi ai rei dopo la lettura della sentenza, in cui dopo aver rappresentato ai medesimi che per essi la lor sorte è decisa, e la causa è finita, si ammoniscano a dichiarare la verità, scoprire i complici non tanto de’ delitti per cui furono condannati, quanto di tutti gli altri, che potessero aver commessi, e non dedotti in processo.

Quarto. A maggior disinganno poi, ed affinché la falsa opinione non frapponga ostacolo al corso della giustizia, dichiariamo di nuovo, che l’infamia derivante da qualunque delitto, e dalla qualità della pena non si estende oltre la persona del reo, ed in conseguenza i parenti del medesimo, in qualsivoglia grado si trovino, non potranno soffrire per ciò alcuna taccia nell’onore, e nell’estimazione, di cui godevano per l’avanti.

Quinto. Dichiariamo di più, che ciò non sarà di alcun ostacolo a’ parenti, che ne sono provvisti per continuare nell’esercizio dei rispettivi loro impieghi, ed a conseguirne quelli, che con la loro condotta se ne renderanno meritevoli, e ad ottenere da noi in progresso quelli avanzamenti, decorazioni, e beneficenze, che si riconosceranno dovute al loro merito personale.

Sesto. Accordiamo poi col presente nostro editto piena, ed intiera grazia a tutti li rei di delitti commessi prima della data dell’editto nostro delli 21 scorso maggio, e non eccettuati come infra, e rimettiamo loro tutte le pene sì corporali, ed afflittive, che pecuniarie, e le confiscazioni, le quali non fossero già state esatte, e convenute, estendendo questa grazia altresì a favore dei già condannati, che stanno scontando le loro pene, e dei recidivi, che dopo aver gioito d’altro precedente indulto, o grazia particolare avessero di nuovo delinquito.

Settimo. Non volendo però, che tali tratti di nostra clemenza apportino pregiudizio alla pubblica tranquillità, e sicurezza, dichiariamo esclusi da tale beneficio coloro, che per l’atrocità de’ loro misfatti, o per la malizia, da cui furono accompagnati, più infesti si sono resi alla società, e per la perversità del loro carattere danno fondamento a credere, che giammai siano per ravvedersi.

Ottavo. Sono perciò esclusi dall’indulto li colpevoli de’ seguenti delitti: di lesa maestà si’ divina, che umana; di fabbricazione, cioè, e spendita di falsa moneta si’ nostra, che estera; di liberazione violenta di taluno dalle carceri, o dalle mani della forza armata; di parricidio, uxoricidio, fratricidio, infanticidio, assassinio, venefizio, omicidio premeditato, o senza causa, o con altra aggravante circostanza, ed anche commesso semplicemente in rissa, se questa fu eccitata per parte del reo, o per causa sproporzionata, ancorché ucciso si fosse uno per un altro; d’incendio doloso, furto con violenza ovunque commesso, estorsione con armi, o violenza di denaro; di falsificazione di scritture pubbliche, o private in pregiudizio altrui commesse tanto da notai, che da altri, di siggilli dello stato, cedole di banco, od altri effetti pubblici, di false giurate deposizioni, e di dolosa produzione in giudizio di tali scritture, o deposizioni, ancorché non avessero avuto effetto; di fallimenti dolosi, cooperazione, o doloso profitto in essi; di furto sacrilego, peculato, furto di bestiami nelle campagne, o nelle stalle, di due o più furti distinti di luogo, e tempo, od anche di un solo, se accompagnato da qualche aggravante circostanza di domestico, o con affidamento [ndr. confidando nell’oscurità] notturno, con rottura, sforzamento, scalata, od altro mezzo equivalente introducendosi per le finestre, o per li tetti; o coll’uso di chiave falsa, o da persona diffamata, o giustamente sospetta in tale genere; di truffa, di ricettazione dolosa di cose rubate che si tratterà di persone diffamate, o sospette in tal genere, o di previa intelligenza coi ladri; di resistenza e violenza alla forza pubblica, offiziali, ed agenti di giustizia, o preposti alla riscossione delle contribuzioni si’ dirette, che indirette, e loro servienti nell’esercizio delle loro funzioni, se in tali circostanze sarà succeduto sparo, ferita, o morte, ed anche semplice contusione con arma da contundente; di concussione, o malversazione qualunque in uffizio con prevaricazione, o falsità: se però taluno di questi inquisiti per difetto di aggravanti circostanze potesse meritarsi l’admissione all’indulto, vogliamo che siano nulla di meno inabilitati all’esercizio di qualunque pubblico uffizio.

Nono. I minori d’anni 20, e 25 rispettivamente anche per i delitti sovra eccettuati potranno venire admessi all’indulto, quando per ragione di sua età avrebbero scanzata la pena ordinaria, se fossero stati giudicati sotto il regime delle nostre costituzioni.

Decimo. Coloro che intenderanno gioire di questo nostro generale indulto dovranno aver ricorso ai nostri supremi magistrati, a cui spetta rispettivamente la cognizione de’ loro delitti fra sei mesi dalla data del presente per rapportare l’opportuna declaratoria, e passeranno dopo di essa sottomissione avanti il magistrato, o giudice ordinario del luogo del commesso delitto di vivere in awenire da uomini dabbene, onesti, e fedeli sudditi, ed obbedienti alle leggi, e di astenersi da ogni delitto, e frà un mese dalla data della declaratoria far fede di essa, e dell’atto di sottomissione avanti lo stesso giudice. Non volendo con questo nostro atto di clemenza pregiudicare alle parti offese, e danneggiate, non faranno gli inquisiti admessi all’indulto, se non faranno constare con atto pubblico, od almeno per testimoniali ricevute da notaio dell’ottenuta pace, e risarcimento, o condono rapportato dei danni, o quanto meno d’aver usate tutte le possibili diligenze per ottenere quanto sopra, e che solo la loro povertà, e l’irragionevole durezza, ed esorbitanti pretese degli offesi, e danneggiati li hanno impediti di adempirvi.

Undecimo. Ove per particolari circostanze stimassero li nostri magistrati doversi escludere taluno dei rei compresi nell’indulto da questo nostro beneficio, ne rassegneranno a noi le loro rappresentanze per le nostre determinazioni. Potranno però aggiungere nell’ammissione all’indulto quelle particolari cautele, che stimassero più convenienti alle circostanze de’ capi, ed al pubblico bene. Mandiamo al Senato di Piemonte, ed alla Camera de’ Conti d’interinare il presente ed alla copia stampata nella Stamperia Reale prestarsi la stessa fede, che al proprio originale; che tal è nostra mente.

Dato in Torino li dieci del mese di giugno, l’anno del Signore mille ottocento quattordici, e del regno nostro il decimoterzo.

V. Emanuele.

Un viaggio nella paura

L’editto regio che stabilisce l’abolizione della tortura fa parte di una raccolta di testimonianze storiche sulla più terribile delle emozioni, la paura: paura di essere torturato, paura degli immigrati, paura delle catastrofi naturali, paura di essere ridotto in schiavitù, paura di essere perseguitato per la propria fede, paura delle vaccinazioni… “Un viaggio nella paura” è il titolo della pubblicazione a cura di Chiara Barbero e Marco Testa, con testi di Marco Carassi, una raccolta che documenta alcune delle paure più sentite di tutti i tempi a partire dalle carte dell’Archivio di Stato di Torino. (ASTo Torino, Associazione Amici dell’Archivio di Stato di Torino, “Un viaggio nella paura. Alla scoperta di testimonianze storiche sulla più terribile delle emozioni”, a cura di Chiara Barbero e Marco Testa, testi di Marco Carassi, Hapax Editore, Torino 2016)

Un viaggio nella paura è un progetto di
Associazione Amici dell’Archivio di Stato di Torino